Argentina storia di un default sistemico

La vicenda recente dell’Argentina dimostra quanto sia sbagliata l’idea che una politica monetaria  sovrana sia in grado di evitare, in presenza di seri squilibri macroeconomici, il default sul debito pubblico e una forte svalutazione del tasso di cambio, con effetti molto pesanti sull’inflazione e sul tenore di vita della popolazione.

Il fallimento del programma di modernizzazione messo in atto dal governo Macri, con il sostegno del Fondo Monetario Internazionale, non è attribuibile a un eccesso di austerità, in quanto fino al 2018 non vi è stata alcuna riduzione del deficit pubblico e la crescita degli aggregati monetari si è mantenuta elevata. Hanno contato soprattutto due fattori: una sequenza probabilmente sbagliata delle azioni di politica economica e la prospettiva di un ritorno al potere dei peronisti: quest’ultimo è stato il fattore scatenante della crisi delle ultime settimane a seguito della sconfitta di Macri, l’11 agosto, alle elezioni primarie per la Presidenza della Repubblica.

Per l’ottava volta dal dopoguerra, la seconda da inizio secolo, l’Argentina si trova in difficoltà nel ripagare il proprio debito.

A certificarlo è il recente declassamento dei titoli argentini da parte delle agenzie di rating Fitch e Standard&Poor’s avvenuto il 30 agosto. La causa è stato l’annuncio del governo argentino del 28 agosto con cui veniva comunicato l’allungamento delle scadenze di alcuni titoli a breve, per un valore di 7 miliardi di dollari (azione che per S&P rappresenta un default) e l’intenzione di riconsiderare le durate di debiti a lunga scadenza per un valore di 50 miliardi, quest’ultimi detenuti in gran parte da investitori esteri.

Queste decisioni sono il risultato di una vicenda complessa, in cui vi sono probabilmente stati alcuni errori del governo e anche del Fondo Monetario Internazionale, ma che hanno avuto come fattore scatenante la sconfitta nelle elezioni primarie del presidente in carica Mauricio Macri, battuto con un ampio margine, 48,8 per cento contro 33 per cento, da un ticket peronista rappresentato da Alberto Fernandez, come candidato alla Presidenza, e da Cristina Fernandez de Kirchner, precedente Presidente fino al 2015, come candidata alla vicepresidenza. Questo risultato elettorale fa presagire che alle elezioni presidenziali che si terranno in ottobre torneranno al potere quelle forze populiste che hanno lasciato un’eredità molto negativa, fatta di deficit pubblici crescenti, spesa fuori controllo, tariffe pubbliche artificialmente basse, dazi e imposte distorsive, inflazione a due cifre, stagnazione dell’economia, povertà a livelli record, azzeramento delle riserve valutarie.

La prospettiva del ritorno dei peronisti ha determinato una fuga dalle attività denominate in peso e una conseguente pesantissima svalutazione del cambio, 36 per cento nel solo mese di agosto. Questa vicenda sollecita alcune considerazioni di ordine generale che vanno oltre il caso dell’Argentina e che mostrano quanto siano sbagliati alcuni luoghi comuni che circolano in Italia da alcuni anni sui poteri miracolosi dello stampare una propria moneta.

Il fatto di avere una moneta sovrana non impedisce che un paese faccia default sul debito.

La ragione principale, ma non l’unica, è che una buona parte, circa tre quarti, del debito argentino, è denominato in valuta estera. Perché il governo Argentino non ha emesso in misura maggiore titoli in pesos? La realtà è che gli investitori internazionali cercano di evitare di investire in una valuta che può essere manipolata dal debitore e quindi su di essa chiedono un premio per il rischio più elevato. Nel caso dell’Argentina, data la sua storia, il timore di investire in pesos era particolarmente elevato: infatti, il titolo in pesos costava attorno al 20 per cento, quello in dollari al 10 per cento.

I tassi interni avrebbero potuto essere tenuti bassi dalla banca centrale, stampando più moneta, ma questo avrebbe alimentato ulteriormente le già alte pressioni inflazionistiche. Inoltre, l’Argentina aveva bisogno di valuta estera per ricominciare a importare materie prime e altri prodotti esteri indispensabili.

Infine, il governo Macri aveva smantellato quell’apparato di vincoli finanziari su banche, imprese e persone fisiche che rappresentava un vero e proprio sistema di repressione finanziaria volto a piazzare il debito pubblico presso i residenti e impedire libere scelte finanziarie da parte degli Argentini.

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