Bandiera nazionale della Serbia

L’etnocrazia serba come fattore di destabilizzazione dei Balcani occidentali

Il recente inasprimento della retorica nazionalista serba complica il già complesso percorso di democratizzazione e pacificazione dei c.d. Balcani occidentali. La strategia di Belgrado rimane legata solo apparentemente alle logiche etnopolitiche che implosero in Jugoslavia. Oggi è la destabilizzazione dei tavoli diplomatici a rappresentare la principale strategia di Belgrado nel controllare le dinamiche interne alla regione, soprattutto laddove le minoranze serbe giocano un ruolo fondamentale nei rapporti istituzionali con le rispettive autorità statali.

Tale strategia etnocratica all’interno dei regimi ibridi di Kosovo, Montenegro e Bosnia Erzegovina appare anche svilupparsi sul piano retorico. Le autorità serbe nella regione – siano esse di natura istituzionale e/o religiosa – sono parte integrante del “srspki sveti” – ossia, il “mondo serbo” in cui la lingua e l’etnia serba insieme alla Chiesa Ortodossa serba costituiscono i tre pilastri fondamentali per millantare una riunificazione dei territori a maggioranza serba.

L’etnocrazia di Belgrado non ha solo contributo al deterioramento della democrazia nazionale e regionale (con eccezione del Kosovo; Grafico 1), ma anche depauperato qualsiasi tentativo di riconciliazione tra le comunità serbe e i Paesi limitrofi, e mantenuto inalterati i fenomeni di corruzione e criminalità organizzata all’interno della regione (Grafico 2).

Grafico 1: Nations in Transit: Democracy Score (1/7)
Dati elaborati da The World Bank Prosperity Data360
Grafico 2: Corruption Perception Index (0/100)
Dati elaborati da Transparency International

Bosnia Erzegovina

I recenti tentativi di riformare la legge elettorale hanno subito registrato l’opposizione delle autorità della Republika Srpska. La recente manifestazione di piazza a Banja Luka, centro amministrativo dell cantone serbo in Bosnia, ha riproposto il consueto clima d’odio verso la comunità musulmana e le istituzioni di Sarajevo. Una retorica, quest’ultima, inserita nel più becero negazionismo del Genocidio del 1995 a Srebrenica, cittadina simbolo del trauma della guerra degli anni novanta e oggi sotto l’amministrazione serba.

La retorica militarista del “Srspska te zove” (“La Serbia ti sta chiamando”) aveva anticipato i proclami del leader serbo Milorad Dodik sull’unificazione dei serbi davanti le principali autorità serbe della Bosnia e il Presidente dell’Assemblea Nazionale di Belgrado, Ana Brnabić, che ha lanciato un chiaro messaggio di contiguità politica partecipando all’adunata. Il clima politico si è ulteriormente radicalizzato per il caso di Vojin Pavlovic, capo dell’organizzazione “Istočna Alternativa”, accusato di aver incitato all’odio razziale e negato i crimini di guerra commessi dalle forze guidate da Ratko Mladić nella guerra del 1992-95.

Montenegro

Il censimento della popolazione montenegrina dello scorso autunno 2023, condotto dopo le raccomandazioni degli organi internazionali, ha visto Belgrado condurre un ulteriore campagna etnocratica simile a quella condotta in Bosnia. Le autorità di rappresentanza politica hanno prommosso la loro identità etnolinguistica attraverso lo slogan “Ponosni na svoje srpsko” (“Orgogliosi della nostra identità serba”) nei mesi precedenti il censimento.

La campagna aveva il duplisce scopo di salavaguardare gli interessi della Serbia in Montenegro e minare l’indipendenza politica del Paese stesso attraverso l’utilizzo strumentale dell’identita serba da contropporre a quella montenegrina. Così come nei recenti casi di collaborazione politica tra le autorità serbe di Bosnia e Serbia, la mobilitazione dei serbi in Montenegro ha visto anche la partecipazione dell’importante comunità russa residente da anni a Podgorica e dello stesso ambasciatore russo Vladislav Maslenikov.

Kosovo

L’etnocrazia serba ha soprattutto destabilizzato il Kosovo. Nonostante il governo di Albert Kurti avesse declassato il dialogo con la Serbia dopo le elezioni del 2021, Belgrado è riuscita a rallentare le riforme strutturali promesse da Vetëvendosje, il partito dello stesso Kurti. L’ultimo biennio di forti tensioni nella regione settentrionale del Paese a maggioranza serba non hanno permesso al governo Kurti di estendere la sovranità nazionale nella regione senza la presenza delle KFOR, né facilitato il percorso di normalizzazione dei rapporti interstatali e pacificazione con la Serbia.

Il continuo boicottaggio della comunita’ serba delle elezioni locali, anch’esso orchestrato scientemente dall’interferenza dalle “quinte colonne” di Vučić in Kosovo, ha politicamente acuito la distanza tra la comunità serba e Pristina.

Questa instabilità si inserisce all’interno di un contesto ancora più incerto sul piano internazionale. L’ingresso del Kosovo nel Consiglio d’Europeo è stato recentemente condizionato dalla realizzazione dell’Associazione delle Municipalita’ Serbe (ASM/CSM) – ossia, un organo di autogoverno locale delle principali municipalità serbe in Kosovo. Secondo l’Allegato di implementazione del Piano UE siglato da Vučić e Kurti in Macedonia del Nord, il Kosovo garantirà la realizzazioni dell’ ASM/CSM solo dopo aver sciolto il nodo legato alla natura di tale forma di autogoverno locale. Dopo essere stata definitiva come inconstituzionale dalla Corte Costituzionale del Kosovo nel 2015, Kurti ha contestato la dicitura voluta da Belgrado di “comunita’ serba” (Zajednica) con chiaro riferimento a logiche etnopolitiche piuttosto che politico-amministrative (Udruženje). Il rischio di legalizzare il già esistente sistema parallelo attraverso cui Belgrado coordina la vita socio-culturale e amministrativa dei serbi in Kosovo garantirebbe un pieno controllo politico come nel caso della Republika Srspka in Bosnia dopo gli Accordi di Dayton nel 1995.

Etnocrazia vs democratizzazione

La “Questione Serba” posta in essere dalle autorità serbe appare ostruire l’agenda europea riguardante il percorso di avvicinamento dei Balcani occidentali all’UE e delegittimare qualsiasi piano alternativo capace di ripristinare il processo di democratizzazione.

L’ambiguità politica di Belgrado in merito ai contestati eventi storici – da Srebrenica al massacro di Račak fino al mancato riconoscimento del Kosovo – vedono Cina e Federazione Russa garantire un ampio spazio di manovra alla Serbia attraverso il loro potere di veto all’UNSC. I recenti proclami di separatismo della Republika Srspka e di destabilizzazione del Kosovo non possono essere sottovalutati dinnanzi al fragile scenario internazionale.

La strategia etnocratica di Belgrado dovrebbe spingere la comunità auroatlantica a (1) considerare seriamente un pacchetto di sanzioni nei confronti di Belgrado; (2) assecondare potenziali dinamiche di cambiamento che possano “dal basso” coinvolgere maggiormente la società civile e l’ascesa di nuove classi dirigenti; (3) accelerare il percorso di avvicinamento all’UE senza riproporre approcci puramente normativi e/o di implementazione delle politiche di allargamento in vista delle elezioni europee di Giugno 2024, le elezioni locali nella capitale serba, le elezioni americane nell’autunno 2024, e la conclusione del quarto e ultimo anno mandato del governo Kurti nel 2025.


Articolo di Francesco Trupia, PhD | Doctor of Philosophy Adjunct at Nicolaus Copernicus University in Toruń, Poland | Member of the #HermesCSE WG on Geopolitic, Strategic, Economic and Intelligence Analysis